top of page
netpar_A191-A0359-002 copia.jpg

Cantar di Pietre
2025

Mezzo millennio per il principe della musica
​

Nacque esattamente 500 anni fa. Dal nome della città natale - l’antica Praeneste - viene l’appellativo col quale egli sarà noto ai contemporanei e ai posteri: Joannes-Petrus-Aloysius Praenestinus si denomina l’autore dei libri delle messe e dei mottetti, ma nelle raccolte di madrigali, nei registri delle basiliche romane, nelle lettere e negli atti notarili egli è indicato, in forme diverse e meno solenni come Giannetto (o Gianetto o Zanetto) da P. Pallestrino o del Pelestino e Giovanni Pietro Luigi da Panestrina. Solo negli ultimi anni egli si firma quasi costantemente Giovanni Pietraloysio. Un documento - scoperto, come molti altri, dal musicologo Raffaele Casimiri - datato 25 ottobre 1537 dà notizia della presenza di Giannetto da P. fra i pueri choriales della basilica di S. Maria Maggiore; probabilmente, l’averlo fatto accogliere fu merito del cardinale-vescovo di Palestrina, Andrea Della Valle, che era anche arciprete di S. Maria Maggiore. Era qui maestro di cappella Rubino Mallapert, cui succedette, nel 1539, Firmin Lebel di Noyon. Da loro Palestrina ricevette quegli insegnamenti di canto e di contrappunto che venivano impartiti nelle scholae delle basiliche romane.
Nel 1544, a 19 anni, Pierluigi fu assunto quale organista e maestro di canto nella cattedrale di Palestrina con contratto a vita. Vi rimase però solo 7 anni, durante i quali dovette dedicarsi intensamente alla composizione. Era sposato da 4 anni, aveva un figlio di 2 e forse gli era nato, o stava per nascergli, il secondogenito quando Pierluigi fu chiamato a Roma, nel settembre 1551, come maestro della cappella di S. Pietro in Vaticano. Anche questa occasione la dovette a un altro vescovo di Palestrina, il cardinale Giovanni Maria Del Monte, eletto pontefice nel 1550 con il nome di Giulio III. In omaggio al suo alto protettore egli compose la messa Ecce Sacerdos Magnus; a lui dedicò il Missarum Liber Primus, stampato per i tipi dei Fratelli Dorico di Roma. In una raccolta di Madrigali a note bianche, pubblicata nello stesso anno a Venezia da Gardano, appare la prima fra le composizioni profane di Pierluigi, il madrigale a 4 voci Con dolce, altiero ed amoroso cenno. Nel gennaio 1555, «per ordine di N. S. il Pontefice, senza esame e senza il consenso dei cantori»(come nota il diarista della Cappella Sistina) Pierluigi è nominato cantore del coro papale.
Tre mesi dopo, Giulio III moriva; gli succedeva Marcello II, che doveva regnare solo 3 settimane e lasciare il suo nome indissolubilmente legato alla più celebre fra le opere italiane di musica sacra, la Missa Papae Marcelli. Morto Marcello II, Paolo IV apparve deciso a instaurare una severa disciplina ecclesiastica. Uno dei suoi primi atti fu l’emanazione del Motu proprio (luglio 1555) in cui - richiamando le costituzioni del “Collegio dei cappellani cantori” che facevano obbligo ai suoi membri di essere celibi, di buoni costumi e insigniti almeno degli ordini minori - veniva ordinato l’allontanamento dei cantori Leonardo Barre, Domenico Ferrabosco e Pietro Luigi da Palestrina e veniva concessa ai licenziati una pensione di 6 scudi mensili. Pierluigi mantenne comunque un legame con la maggiore istituzione musicale romana, componendo messe e mottetti che andarono a incrementare i repertori della Sistina; negli ultimi anni della sua vita ottenne, ma sempre ufficiosamente, un implicito riconoscimento quale “compositore della Cappella di N. S. in Roma”. A poche settimane dal suo licenziamento usciva, stampata dai Fratelli Dorico, la prima raccolta di madrigali a 4 voci, composti su versi di Petrarca o di poeti petrarchisti.
Nell’autunno dello stesso anno, Pierluigi ottiene il posto di maestro della cappella di S. Giovanni in Laterano. Seguono anni difficili, anche per i disagi economici conseguenti la guerra con la Spagna; vediamo il musicista impegnato in complicati rapporti personali e finanziari col Capitolo della Basilica, finché, nel 1560, egli improvvisamente abbandona l’ufficio, insieme al figlio primogenito, fanciullo cantore della cappella. Il 1° marzo dell’anno seguente è nominato maestro a S. Maria Maggiore, dove aveva ricevuto la sua educazione musicale; lascerà questo incarico alcuni anni dopo, non sappiamo per quale ragione né in quale data, ma non prima del gennaio 1565. Durante questo periodo, la sua attività si moltiplicò in diverse direzioni: compose madrigali per le raccolte di un editore di Venezia e uno di Roma; accettò l’incarico - temporaneo per l’estate 1564, poi permanente, dal 1567 - di dirigere le feste musicali date dal cardinale Ippolito d’Este nelle sue sedi romane, Monte Giordano e Monte Cavallo, e nella sua fastosa villa di Tivoli; nel 1565 assunse l’insegnamento musicale nel Seminario Romano, allora istituito in seguito alla delibera del Concilio di Trento. Nell’agosto 1567 usciva dalla stamperia degli eredi dei fratelli Dorico, il Missarum Liber Secundus. La raccolta è offerta, con una lunga lettera dedicatoria, a Filippo II di Spagna. A Ippolito d’Este è dedicato il Primo Libro di Mottetti, pubblicato presso gli stessi editori, nel 1569. Appare l’anno seguente il Terzo Libro di Messe, dove troviamo, accanto a composizioni evidentemente di data recente (quali la De Beata Virgine, la Missa brevis, la De Feria) altre che appartengono al primo stile palestriniano, anteriori alla Papae Marcelli. Anche questa raccolta del 1570 è dedicata al re di Spagna: non a caso, poiché in quegli anni Pierluigi - dopo aver lasciato S. Maria Maggiore - sperava di trovare altrove un protettore che gli assicurasse una più soddisfacente sistemazione personale e, forse, una maggiore libertà artistica. Non sappiamo se e come Filippo II rispondesse al maestro che, con frasi ossequiose, gli offriva i suoi servigi; sappiamo invece che, nel 1567, Pierluigi aveva avviato trattative per ottenere il posto di maestro della cappella imperiale, rimasto vacante per la morte di Giovanni Waedt. La corte di Vienna trovò esagerata la richiesta finanziaria; il rifiuto di contenerla in limiti più modesti dimostra che Pierluigi era in buone condizioni economiche. Molti anni dopo, nel 1583, egli doveva compiere un ultimo tentativo di evasione dall’ambiente romano; questa volta, la meta ambita sarebbe stata Mantova, dove Guglielmo Gonzaga, buon intenditore e compositore dilettante, s’era circondato d’un ottimo complesso di musici e curava particolarmente il servizio musicale della chiesa di S. Barbara in Corte. Per 20 anni, fino alla morte del duca, avvenuta nel 1587, Pierluigi ebbe con lui rapporti epistolari d’una certa regolarità; il gruppo di lettere autografe di Pierluigi, conservato negli archivi di Mantova, costituisce una parte importante della documentazione biografica. Di importanza anche maggiore ci appaiono queste lettere dopo la scoperta, avvenuta nel 1950 a opera di Knud Jeppesen, delle 10 “Messe Mantovane”, commissionate da Gonzaga a Pierluigi, a cui si riferiscono molti passi del carteggio. Più tardi, quando il maestro si offrì per la direzione della Cappella di S. Barbara, Gonzaga trovò troppo alto lo stipendio che gli veniva richiesto. Così fallì anche questo progetto.
Negli anni seguenti compone madrigali e canzoni, probabilmente su richiesta degli editori di raccolte, e permette le ristampe del suo Primo Libro di Madrigali; cosa più sorprendente, egli pubblicherà il suo Secondo Libro di Madrigali a 4 voci nel 1586. Un lungo intervallo di 6 anni (nei quali è, fra l’altro, maestro di cappella del Seminario Romano) separa l’allontanamento da S. Maria Maggiore dal definitivo approdo alla Cappella Giulia, la prima che si era aperta al suo arrivo a Roma: il 1 aprile 1571, il Capitolo di S. Pietro gli offrì il posto rimasto libero per la morte di Giovanni Animuccia. Lo stipendio fu portato per lui a 100 scudi l’anno, più varie indennità; ma pochi anni dopo, pur di trattenere il Maestro ormai celebre e conteso fu deciso di aumentarglielo a 185 scudi. Per sé, la sua famiglia e alcuni allievi cantori della cappella, egli prese in affitto e in seguito comperò una casa vicino a S. Pietro, in un vicolo che fu poi detto “del Pelestrino”; qui egli doveva trascorrere gli ultimi 23 anni della sua vita.
Nel 1572, presso l’editore Scotto di Venezia, pubblicò il Secondo Libro dei Mottetti a 5, 6 e 8 voci, dedicato a Guglielmo Gonzaga; forse per questo, Pierluigi vi incluse alcuni mottetti composti dal proprio fratello minore Silla e dai figli Rodolfo e Angelo; egli sperava infatti di collocare Silla e Rodolfo presso la corte di Mantova. Ma proprio pochi mesi dopo la pubblicazione dei mottetti, una serie di dolorose perdite venne a funestare la casa del maestro: nel 1572 morì il suo primogenito Rodolfo, pochi mesi dopo fu la volta di Silla; nel 1575 moriva anche il secondogenito, Angelo. Sono di questi anni (dal 1573 al 1575) le composizioni palestriniane più dolorosamente elegiache, con spunti intensamente drammatici: gli Improperii e le Lamentazioni. L’autografo di queste composizioni - il solo autografo musicale che conosciamo di Pierluigi - fu trovato e identificato, nel 1888, da Franz Xaver Haberl nel Codice 59 dell’Archivio lateranense; nel 1919 fu studiato e pubblicato integralmente in fac-simile da Casimiri.
Per i tipi dello stampatore Scotto e dedicato ad Alfonso II d’Este appare nel 1575 il Terzo Libro dei Mottetti (18 a 5 voci, 9 a 6, 6 a 8 v.) che comprende alcune fra le più belle composizioni palestriniane: O bone Jesu, Jubilate Deo, Surge illuminare Jerusalem. Nel 1578, mentre era impegnato a comporre le messe richiestegli da Gonzaga, Pierluigi ebbe dal papa Gregorio XIII l’incarico di “emendare” dagli errori e dalle interpolazioni accumulatesi nel corso degli ultimi secoli le melodie gregoriane dell’Antifonario del Graduale romano; doveva aiutarlo in questo lavoro il cantore Annibale Zoilo. Non sappiamo se il lavoro sia stato portato a termine; dopo la morte di Pierluigi, suo figlio Iginio ne trattò la pubblicazione ma, non avendo raggiunto un accordo, intentò causa agli editori: rimasto inedito, il lavoro finì al Monte di Pietà, dove non fu più ritrovato.
Nel 1580, un altro e più grave lutto colpì il Maestro: l’epidemia di “febbre catarrale”, scoppiata a Roma nell’estate di quell’anno, gli portò via la moglie. Sconvolto da questa perdita, decise di consacrarsi al sacerdozio: il 7 dicembre egli ricevette gli ordini minori e, nel gennaio successivo, un beneficio ecclesiastico. Ma improvvisamente avvenne qualcosa che si può spiegare solo in un uomo di forte temperamento e di subitanei impulsi. Nel febbraio del 1581, Pierluigi, anziché completare con gli ordini maggiori l’investitura sacerdotale, sposa un’agiata vedova, che gli porta in dote un ben avviato negozio di pelliccerie. È certo che, da questo momento, la vita di Pierluigi scorre senza scosse e ci appare quasi un miracolo di attività. Mentre la sua mente creatrice dà i frutti più preziosi e più abbondanti, egli si occupa del commercio delle pellicce, compra case, vigne e terreni. Intanto, i volumi a stampa da lui curati, escono in rapida successione. Dal 1581 al ‘94 ne pubblica 17. Sono di questo periodo il Primo Libro di Madrigali spirituali a 5 voci, stampato a Venezia da Gardano; il Secondo Libro dei Mottetti a 4 voci (Gardano); il Quarto Libro delle Messe; il Quarto Libro dei Mottetti a 5 voci, formato da 29 brani su testi tolti dal Cantico dei Cantici: splendido poema musicale in cui lo stile - né mottettistico né madrigalesco - ha il fascino della creazione del tutto nuova e del tutto naturale. Un autentico capolavoro. Un Quinto Libro di Mottetti a 5 voci vede la luce, per l’editore Gardano, nello stesso anno 1584, dedicato al nipote del re di Polonia. Dopo il libro di madrigali profani del 1586, esce nel 1588 il volume che raccoglie i canti composti su brani delle Lamentazioni di Geremia e altri mottetti per le funzioni della settimana santa. Nel 1589, presso un nuovo editore, Coattino, appare il Libro degli Inni; è dedicato, come quello delle Lamentazioni, a papa Sisto V. Al duca di Baviera, il mecenate di Orlando di Lasso, dedica il Quinto Libro di Messe, nel 1590. Nel 1591 abbiamo il Libro dei Magnificat; nel 1594, il Sesto Libro delle Messe e l’ultimo Libro dei Madrigali spirituali (Priego alla Vergine). Ma in questi anni, l’attività del compositore procede ben più rapidamente di quella degli stampatori: sono gli anni in cui sbocciano opere come lo Stabat Mater, a 8 voci, le Litanie della Vergine, le grandi messe Assumpta est Maria, Ecce ego Joannes, Te Deum laudamus, che saranno pubblicate postume.
In quest’ultimo periodo della sua vita, la fama del Maestro è ormai sicura e indiscussa. Nelle grandi solennità, la cappella papale esegue quasi esclusivamente musica sua; egli appare fra i soci fondatori della Vertuosa Compagnia de li Musici da cui avrà origine l’Accademia di S. Cecilia; alcuni suoi madrigali sono ristampati a Londra; un singolare “dono musicale” gli viene offerto, per iniziativa di G. M. Asola, da un gruppo di compositori lombardi e veneti (Sacra omnium solemnitatum Psalmodia Vespertina, Venezia, 1592; dedicato “ad celeberrimum et praestantissimum in Arte Musica Coryphaeum D. Io: Petrum Aloysium Praenestinum”).
Stava preparando l’edizione del Settimo Libro delle Messe quando, sembra dopo brevissima malattia, Pierluigi morì: aveva 68 anni, dichiara nel necrologio, Melchior Major; quasi 70, asserisce Iginio Pierluigi. Il diarista della Sistina ci ha tramandato la scarna notizia degli onori che gli furono resi: 
[…] A 24 hore fu portato in questa chiesa (S. Pietro), accompagnato non solo da tutti li musici di Roma, ma anco da una moltitudine di popolo, et secondo il nostro solito, conforme alle costituzioni, cantammo il responsorio “Libera me, Domine”. Il suo corpo venne calato nella “Cappella Nova” di S. Pietro, dove avevano sepoltura tutti gli abitanti di quella parrocchia. 
La sua bara portava la scritta: “Joannes Petraloysius Praenestinus musicae princeps”.



- - - - - - - - - - - - - - - - - - - 

 

È dunque il risultato di un forte impegno la volontà di impostare una intera stagione di Cantar di Pietre sulla figura di Giovanni Pierluigi da Palestrina e il suo tempo. Una sfida non priva di rischi nel desiderio di offrire al nostro affezionato e numeroso pubblico un percorso completo, là dove ciò significa il poter far comprendere appieno le motivazioni che spinsero i suoi contemporanei a definirlo “princeps musicae”, principe della musica.
La nostra Rassegna presenta un cartellone di ampio respiro capace di evidenziare il volto di Palestrina massimo compositore e il volto di Palestrina artista operante presso pontefici e regnanti. Tutti i grandi pontefici umanisti della seconda metà del Cinquecento, infatti, ne apprezzarono la produzione. I duchi di Mantova, il re di Spagna e l’imperatore d’Austria cercarono di averlo nelle loro Corti.
A Roma ebbe committenti sia nel mondo aristocratico sia in quello ecclesiastico durante il mezzo secolo che lo vide operare nelle grandi basiliche patriarcali, nelle corti di Ippolito d’Este a Tivoli e presso le istituzioni che promuovevano la creazione e l’esecuzione musicali.
Il frutto di tutto questo sono le oltre settecento composizioni tra madrigali, messe, mottetti che ci ha lasciato attraverso una produzione editoriale pressoché unica.
Un’eredità artistica e spirituale che ne hanno fatto il musicista più stimato e citato da tutte le generazioni successive ma, visto l’appellativo principesco, venerato dai suoi contemporanei.
Il periodo in cui visse e operò Giovanni Pierluigi da Palestrina, nella storia della musica occidentale, è tra i più sfolgoranti per la produzione musicale, per l’evoluzione di generi e stili vocali e strumentali e per l’affermazione della figura professionale del musicista, sia esso maestro di cappella, compositore, organista, cantore o strumentista. Le grandi scuole musicali d’Europa nascono e si sviluppano a partire dalla seconda metà del Quattrocento grazie alla presenza di príncipi e mecenati mossi da ideali culturali insiti nella loro formazione umanistica. Sono loro a valorizzare il lavoro di filosofi, letterati, scienziati, artisti e musici che presso le Corti si trovano ad operare nel clima ideale per esprimere al meglio i loro talenti e soddisfare le aspettative di personaggi colti e illuminati.
Se in Europa sono re, prìncipi e nobili a creare le condizioni, a Roma si realizzano a partire dalla fine del Quattrocento grazie ai papi umanisti e ai grandi pontefici del primo Rinascimento, la cui opera fu fondamentale nel rafforzamento del potere spirituale e temporale della Chiesa, condizione che consentì un naturale sviluppo alla cultura nel cui ambito alla musica era riservato uno spazio importante. Non sono pochi i provvedimenti papali finalizzati al potenziamento dell’attività della loro cappella musicale privata - la cappella palatina - e particolare attenzione fu riservata a che il culto nelle basiliche, nelle chiese e negli istituti religiosi fosse accompagnato solennemente dal canto gregoriano, dalla polifonia e dall’organo. Musica sacra della migliore qualità per le occasioni liturgiche, ma anche grande qualità per la musica di intrattenimento nelle loro residenze ed eseguita da musici che spesso furono chiamati a Roma da altri Stati. Un clima, quello della corte papale, che influenzò fortemente le consuetudini nei palazzi dell’Urbe abitati da cardinali, vescovi, ambasciatori e nobili, presso i quali i musici svolgevano mansioni di precettori, cantori, suonatori, veri protagonisti di una vita musicale intensa.

 

Ma chi erano questi musici e da dove venivano?
Bisogna dire che all’epoca era praticamente impossibile reperire in Roma, o anche solo nelle terre pontificie, musici sufficienti a soddisfare le richieste. La maggior parte dei buoni cantori e musici provenivano soprattutto dalla Spagna, dalla Francia, dalla Germania, dalle terre fiamminghe. Furono loro, di fatto, ad importare a Roma il professionismo nella musica imponendo condizioni a volte esose. Ci volle la fine intelligenza e intraprendenza di Giulio II che, istituendo nel 1513 la Cappella musicale di S. Pietro o Cappella Giulia, fornì solide basi economiche al coro del maggiore tempio della cristianità, coro che avrebbe dovuto costituire anche un ‘vivaio’ di musicisti locali. Una vera e propria riorganizzazione, che coinvolse le altre cappelle musicali operanti a Roma, le scuole e gli istituti, gettando di fatto le basi per la nascita e lo sviluppo di una scuola polifonica alla quale contribuirono naturalmente musicisti di diversa provenienza ed esperienze. Professionisti dai quali si erge la straordinaria figura di Palestrina che, dopo aver operato una perfetta sintesi dell’esperienza del passato teorico e tecnico della musica, mise la sua genialità a disposizione della più alta realtà musicale dell’epoca.
Parte da qui il percorso proposto nella edizione 2025 di Cantar di Pietre e che, tappa dopo tappa, aprirà un universo diverso, nel contempo strettamente legato al desiderio di mostrare l’unicità del genio di Giovanni Pierluigi da Palestrina, insuperato conoscitore della tecnica vocale, capace di valorizzare appieno le potenzialità del coro sia dal punto di vista tecnico sia da quello timbrico ed espressivo.
Insieme a Palestrina, la cui musica sarà messa a confronto con quella coeva in altre Nazioni, troverà posto il focalizzarsi sul Cantico delle Creature che Francesco d’Assisi compose proprio 800 anni fa. E poi, novità che proseguirà in futuro, un momento intitolato Ticinensia, interamente dedicato alle radici popolari della Svizzera italiana nella volontà di valorizzarne il patrimonio cultural-musicale.
Come ogni anno vi sarà il concerto in memoria di Luigi Agustoni, figura pionieristica negli studi musicali e liturgici vissuto a lungo ad Orselina. A questo ricordo si unirà l’omaggio a Eros Beltraminelli, iconico direttore di coro e didatta recentemente scomparso, il cui ricordo rimarrà impresso per generazioni in coloro che del canto corale hanno fatto la passione della vita.


 


Giovanni Conti
Direttore artistico di Cantar di Pietre

​

Via Bellinzona 5,

6710 Biasca (Svizzera)

Casella Postale n. 1436
tel. +41 (0)91 862.33.27
mobile +41 (0)79 681.33.75

fax +41 (0)91 862.42.69

tel. +41 (0)91 862.33.27

mobile +41 (0)79 681.33.75

bottom of page